Il piacere espresso, tutto siciliano

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“Intervista ad Alessandro Spadola”

• MOAK CAFFÈ • NOTIZIARIO TORREFATTORI, novembre 2019, autore Alberto Medda Costella • 

“Compiendo i suoi giri per il suo precedente lavoro, mio padre era un grande consumatore di caffè. Ha così cominciato a guardare questa bevanda con un certo interesse, finché ha deciso di aprire un’azienda in conto proprio, con la sua torrefazione, partendo completamente da zero”.

 


Sono le parole di Alessandro Spadola, in riferimento al padre Giovanni, fondatore della Moak caffè. Ci troviamo a Modica, in Provincia di Ragusa, nel profondo sud della Sicilia, in una delle più belle città dell’isola. Le sue strade, le sue piazze, sono note per aver fatto da sfondo allo sceneggiato televisivo del commissario più famoso d’Italia, Salvo Montalbano, creato dall’estro e dalla fantasia dello scrittore, scomparso recentemente, Andrea Camilleri.
Il legame della torrefazione col territorio lo si può riscontrare già nel nome: Moak.
“È stato scelto in onore della nostra città. Varie sono state nel corso della storia le dominazioni, così come i nomi scelti: per gli arabi Modica era Mohac. Mio padre cambiando leggermente il nome ha creato la denominazione dell’azienda, che è anche l’anagramma di moka”. Lo stesso simbolo aziendale, oltre che rappresentare il vapore fumante di una tazza, sembra richiamare anche un glifo arabeggiante.

Consapevole della ridotta dimensione aziendale, dal momento dell’apertura della torrefazione, Giovanni Spadola ha cominciato a studiare, nella convinzione che per distinguersi fosse centrale proporre ai propri clienti un prodotto di qualità, attraverso un lavoro lungo e costante nel tempo. La Moak è così cresciuta chicco dopo chicco, tazzina dopo tazzina, aprendo un locale dietro l’altro. “Nei primi dieci anni mio padre ha iniziato a battere i centri della provincia, per poi allargarsi a quelli di tutta la Sicilia”, spiega Alessandro.
Lo sbarco sulla Penisola è partito dalla vicina Calabria, anche se il vero sviluppo nel resto d’Italia risale ai primi anni ’90, grazie soprattutto all’ingresso in azienda dello stesso Alessandro. “Diciottenne, avevo voglia di dimostrare qualcosa.

 

Aiutato dai collaboratori di allora, ho iniziato a occuparmi di varie cose, tra cui l’espansione del nostro marchio” dice. Vengono così poste le basi per il salto verso l’Europa, prendendo il largo dalla Germania nel 1996. Oggi l’estero per la Moak caffè rappresenta circa il 30% del fatturato.
Il passaggio generazionale, da padre a figlio, non è un qualcosa di così scontato per una torrefazione. “Nel nostro caso è stato abbastanza naturale, spiega Alessandro. Mio padre ha fatto in modo che le nostre passioni di ragazzi potessero funzionare da stimolo con gli impegni verso l’azienda. A me piaceva il tennis. Mi diede l’opportunità di fare dei corsi lontano da casa, ma allo stesso tempo mi spingeva a impegnarmi in ore di assaggio in laboratori di amici”.
Lo stesso è avvenuto con la sorella Annalisa: studi in marketing. Oggi ricopre questo ruolo nell’azienda come direttore, ma la sua attenzione per il mondo della cultura ha portato all’avvio di alcune iniziative, tra cui il Caffe Letterario Moak, un concorso nazionale di narrativa, giunto alla sua XVIII edizione, che ha come tema proprio il caffè. “Dopo 18 anni è diventato un concorso che riscuote vari apprezzamenti a livello nazionale, dice Alessandro. È un modo diverso di fare pubblicità e di sensibilizzare un target di clienti molto attento alla cultura, compresa quella del caffè”.
Attenzione quindi al mondo culturale, ma anche un occhio di riguardo verso i dipendenti, oggi una settantina, che arrivano a cento se si considerano i venditori con contratto mono-mandato e venditori diretti. “Abbiamo un piano strategico dell’azienda che si cerca di condividere con tutta la forza lavoro. Non è una condivisione che si fa solo col management, ma anche con chi sta alla produzione. Faccio l’esempio del magazziniere: in trent’anni sono cambiati i sistemi e oggi chi svolge quel lavoro necessita di una preparazione e aggiornamento continuo”. Senza dimenticare il rapporto con i baristi.

 

“Mio papà, quando ha creato l’azienda, ha inserito un’unica parola nella sua strategia: qualità. L’acqua che il barista utilizza rappresenta il 95% di una tazzina di caffè. Noi per fare un buon caffè facciamo l’analisi dell’acqua, grazie al nostro reparto Ricerca e Sviluppo”.
Ultima la formazione di tecnici specializzati per la manutenzione delle macchine, in passato considerato a torto come mestiere di ripiego.
“Riteniamo invece che questa figura debba essere formata e preparata a dovere – spiega Alessandro – Cerchiamo di guardare oltre e di formare delle figure che negli anni a venire possano farci fare un salto di qualità”.
Il motivo? Consumatori sempre più esigenti e la cultura del caffè che entra in contesti in passato impensabili… grazie anche ai festival letterari.

www.caffemoak.com