G, come Goppion

0
1179

“La storia della torrefazione veneta, tra design e attenzione ai caffè speciali. Un passato che insegna riconoscenza, rispetto al lavoro e alla vita”

• NOTIZIARIO TORREFATTORI, aprile 2021, autore Alberto Medda Costella

“Nonostante il lavoro in questo momento sia piuttosto spento, c’è maggiore disponibilità dei clienti a raggiungere la torrefazione e confrontarsi su come migliorare qualità e servizio del caffè. Chiaramente rispettando tutte le precauzioni del caso, dividendo gli spazi perché tutti noi difendiamo il nostro ambiente di lavoro”, spiega Paola Goppion, responsabile della comunicazione dell’omonima torrefazione dalla grande G rossa in campo bianco. Il marchio, che ancora distingue l’azienda trevigiana, venne realizzato dall’architetto Umberto Facchini negli anni ‘60 del secolo scorso, con l’intento di presentare la torrefazione sul mercato con un simbolo versatile e riconoscibile.

La storia della Goppion, che ha oggi la sua sede e stabilimento alle porte di Treviso, in comune di Preganziol, inizia nel 1859, con Luigi, figlio di sconosciuti, che crescerà in orfanatrofio fino al momento dell’adozione. “Il cognome, forse deriva da un ‘sospettato’ in paese, militare austriaco di nome Goppinghen”, riprende Paola.
“Sappiamo davvero poco di Luigi che riscatterà la sua infanzia diventando il centro del piccolo paese di Lughignano, a ridosso del fiume Sile, dove anche i viaggiatori, tra mare e città, si fermavano a ristorarsi. Aveva l’ufficio postale, il negozio di alimentari, la locanda. Era il centro di quella terra. Ci piace pensare che la nostra storia di torrefattori sia partita lì, quando il caffè da vendere al paese veniva tostato dentro la palla di ferro sopra il camino” .
Ma è anche dall’Etiopia che vira la storia dei Goppion. Dopo Luigi è la volta del figlio Pietro, che avrà sei figli maschi, il cui primogenito Angelo si trasferirà in Africa nel 1936 per un incarico militare. Allora l’Abissinia è colonia italiana. Resta insieme al fratello Giovanni fino al 1947, vendendo prodotti alimentari italiani ad Addis Abeba. È questa l’occasione per entrare in contatto con uno dei caffè più buoni al mondo. Ritornati in Italia, dopo il bombardamento di Treviso, i fratelli rilevano una attività nel centro della città che si chiama Torrefazione Trevigiana Caffè, al quale verrà aggiunto il nome Goppion. Nello stesso 1948 altri due fratelli, Ottorino e Olivo, partono per il Venezuela dando vita alla Cafè San Antonio – Hermanos Goppion.

“Così la storia dei Goppion”, conferma Paola, “che, come tante vicende di lavoro, getta le basi di un’intesa arrivata ai giorni nostri. Il passato è importante perché insegna, rispetto al lavoro e alla vita, a guardare con riconoscenza chi, in tempi lontani, ha messo solide basi per permetterci di essere dove siamo”. Un impegno per la storia e per la cultura da parte della torrefazione che si palesa anche per l’attenzione delle miscele e i riferimenti in esse, sia nelle provenienze che per il percorso di certificazione. Tra tutte merita una menzione particolare la miscela Dolce, la prima prodotta dalla torrefazione, legata alla città di Venezia a cui l’azienda sente di appartenere per il suo rapporto di vecchia data col caffè, porta d’ingresso di questa bevanda in Europa. L’elegante confezione è caratterizzata da un quadro di Francesco Guardi. “Questo utilizzo è frutto di un accordo con la Galleria Franchetti alla Ca’d’Oro. Per noi è un modo per fare qualcosa a sostegno di una città a noi cara e preziosa nel mondo. La confezione celebra il 1700 come l’età del caffè e delle caffetterie, il secolo in cui anche Goldoni scriveva la Bottega del Caffè o i fratelli Verri con Cesare Beccaria a Milano davano vita alla rivista illuminista Il Caffè”.
Sono scelte non casuali da parte della Goppion che, in tempi non sospetti, ha riservato attenzione all’immagine e all’arte (anche contemporanea), coinvolgendo nella sua promozione un grafico pubblicitario come Franco Sgrilli, che ha accompagnato l’azienda in una parte della sua storia.

“Franco Sgrilli disegnava i nostri manifesti con toni accesi raccontando l’invenzione della conservazione in sottovuoto. Oggi continuiamo a presentare il nostro prodotto pensando che il packaging abbia sempre la responsabilità di ‘contenere’, ma anche di narrare, in modo da suggestionare il consumatore”. Un’impostazione fondata quindi non solo sulle esperienze sensoriali, ma anche su quanto il caffè è in grado di trasmettere attraverso un racconto, un’emozione. “A dicembre del 2020 siamo usciti con una campagna stampa nei quotidiani veneti con tre mini storie. Ci piace pensare alla pubblicità non solo come mezzo di promozione, ma anche come ambasciatrice di messaggi sociali e culturali”.
La torrefazione storicamente radicata nel Triveneto, è oggi guidata da Sergio, figlio di Angelo, ed è presente in 30 paesi, con una vendita diretta in Austria. Oltre a proporre le sue miscele classiche recentemente ha anche lanciato ‘GOPPION LTD ED’, edizioni limitate di origini certificate da CSC (Caffè Speciali Certificati) che quest’anno compie 25 anni, di cui per 24 la Goppion è parte integrante. “Non si può non pensare come questo gruppo di torrefattori erano già avanti. Oggi si parla tanto di caffè specialty, ma allora non lo conosceva quasi nessuno. Negli ultimi anni la scelta dei caffè si è fatta ancora più importante perché l’investimento che la torrefazione ha fatto, è funzionale a definire e rendere riconoscibile del caffè il suo gusto e il suo stile”. In questo, ad affiancare Sergio, c’è la figlia Silvia che rappresenta la nuova generazione in azienda.

Un progetto pieno di intuizione, così come il Consorzio di Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale, in cui la Goppion crede molto, non solo come torrefazione, ma soprattutto come categoria, che, se coesa, può dare sostanza alla candidatura dell’Espresso Italiano a Patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco. “Si tratta di un progetto culturale che riguarda non solo i torrefattori ma lo stato italiano, perché con esso si promuove la sua cultura. Oggi ci sono delle multinazionali che rilanciano e rivisitano l’espresso italiano, ma bisogna dire che molte cose le abbiamo inventate qui, dalla macchina per espresso alla moka, dall’arte della miscelazione a tanto altro.
Nel Consorzio ora siamo una quarantina e se pensiamo che in Italia ci sono circa 800 torrefazioni, capiamo che la strada da fare è ancora lunga”.
Intanto però l’iter è avviato e chissà che l’ingresso di colossi nel mondo dell’espresso come Starbucks o Nescafè non si riveli un acceleratore per l’avvicinamento di altre torrefazioni al Consorzio, a tutela di una categoria e di un’arte che deve continuare a contraddistinguere lo stile italiano nel mondo.