“Mosh e Moah”
• NOTIZIARIO TORREFATTORI, settembre 2020, autore Marco Valerio Francone •
Il problema degli oli minerali è fortemente sentito nell’industria alimentare. Mosh e Moah sono considerati un pericolo crescente che, nonostante l’impegno di vari produttori e di alcuni paesi della Comunità Europea nel definire delle linee guida e valori di riferimento, ad oggi manca ancora di una regolamentazione armonizzata almeno a livello europeo.
Attualmente la presenza di oli minerali è particolarmente avvertito nei materiali da imballo che interessano quei punti della filiera alimentare dove è necessario garantire durante il trasporto del prodotto una sorta di passaggio di aria o una protezione da urti o ancora nel caso in cui le fasi primarie di confezionamento sono svolte in paesi o strutture dove il livello del packaging non è elevato. È il caso per esempio del caffè, del cacao, delle patate, delle granaglie, dei semi, ecc…
Uno dei materiali che ha suscitato molto interesse è la juta. La juta è una fibra tessile naturale che si ricava dal fusto della pianta del genere Corchorus. È composta da fibre ruvide e resistenti, caratteristiche che permangono anche nel filato. È un materiale biodegradabile e riciclabile al 100%, molto igroscopico e traspirante, infine possiede un alto carico di rottura, inteso come il limite oltre il quale, adottando una forza o sollecitazione esterna applicabile, un materiale risulta inservibile dal punto di vista della resistenza. È un materiale molto resistente anche se, in termini assoluti, lo è meno del cotone.
Tutte queste caratteristiche lo rendono particolarmente interessante nel commercio di prodotti agricoli. Inoltre, anche in virtù delle politiche legate al basso impatto ambientale nelle fasi post utilizzo, la juta è sempre più oggetto di studi e valutazioni da parte delle industrie alimentari.
Ma allora dove nasce il pericolo degli oli minerali o Mosh e Moha? Nel processo di trattamento delle fibre di juta. Nonostante la juta sia un materiale totalmente naturale e biodegradabile, la produzione di sacchi a partire dalla fibra grezza prevede e necessita di processi che spesso richiedono l’utilizzo di oli (batching oil) per ammorbidirne le fibre la quali allo stato naturale non potrebbero essere correttamente lavorate.
L’utilizzo di oli minerali provenienti da idrocarburi minerali semivolatili (Mosh e Moha) sono trasferiti prima alle fibre di juta e conseguentemente, a seconda delle condizioni, all’alimento contenuto nei sacchi, a causa dell’evaporazione e successiva ri-condensazione dei suddetti oli, nonché per contatto diretto.
L’International Jute Organization (IJO), consapevole che il problema della presenza di oli minerali (Mosh e Moha) sta iniziando ad interessare una fascia sempre maggiore di industrie alimentari, sta da tempo raccomandando i produttori di utilizzare oli non contenenti sostanze tossiche o di utilizzare oli di natura vegetale per il trattamento delle fibre di juta, in modo tale di limitare la formazione odori e/o sapori potenzialmente oggetto di migrazione nell’alimento.
La IJO ha inoltre indicato un tenore massimo dell’insaponificabile nei sacchi (frazione dell’olio che, se fatta reagire chimicamente con sostanze dette “basi”, non diventa sapone e che, nella pratica, comprende gli idrocarburi) in 1250 mg per kg di fibra, valore non sempre rispettato dai produttori ma che oggi rappresenta una indicazione anche per una potenziale analisi dei pericoli di processo.
Anche l’EFSA, a seguito di una richiesta della Commissione europea del 28 agosto 2013, ha incaricato i suoi esperti di eseguire una valutazione sull’esposizione della juta agli oli minerali con l’intento di fornire un’opinione scientifica sull’utilizzo di oli minerali nei sacchi di juta, alla luce delle ricerche e delle valutazioni espresse dalla stessa International Jute Organization. Gli studi hanno proposto l’utilizzo come batching oil di oli vegetali non contenenti oli provenienti da idrocarburi semivolatili (Mosh e Moha), conformi al Codex definito per gli stessi oli vegetali e compatibili con il consumo umano, come ad esempio l’olio di crusca di riso o di palma.
Questo approccio, condiviso anche dalla IJO (International Jute Organization), pare essere una via verso la progressiva soluzione al problema, tuttavia l’utilizzo di batching oil “a base di” crusca di riso o palma non è stata sufficientemente chiarita. Manca, infatti, una chiara indicazione su come tali oli debbano essere applicati a livello di processo come ad esempio con l’aiuto di eventuali detergenti o additivi, i quali introdurrebbero una nuova fonte di pericolo sempre di tipo chimico.
Gli studi effettuati hanno però dimostrato che se vengono rispettate le specifiche indicate, l’esposizione agli idrocarburi minerali semivolatili dei sacchi di juta è stimata di molto inferiore all’ADI, l’Acceptable Daily Intake.
In questo panorama si avverte la forte mancanza di una normativa armonizzata almeno a livello UE verticalizzata sulla juta (come lo è per esempio verso altri materiali), tuttavia nonostante non sia presente una normativa specifica anche la juta rientra nel campo di applicazione del regolamento 1935/2004 su materiali e articoli destinati a venire a contatto con gli alimenti.
L’articolo 3 del suddetto regolamento stabilisce che
“I materiali e gli oggetti, compresi i materiali e gli oggetti attivi e intelligenti, devono essere prodotti conformemente alle buone pratiche di fabbricazione affinché, in condizioni d’impiego normali o prevedibili, essi non trasferiscano ai prodotti alimentari componenti in quantità tale da:
a) costituire un pericolo per la salute umana;
b) comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari; o
c) comportare un deterioramento delle loro caratteristiche organolettiche”.