“Come è nato il caffè di Primo Aroma. La torrefazione triestina raccontata da Fabrizio Polojaz ”
• NOTIZIARIO TORREFATTORI, giugno 2022, autore Alberto Medda Costella •
Primo amore, o meglio, Primo Aroma. Questo il nome scelto per la torrefazione triestina di Corrado Bassanese e Fabrizio Polojaz.
In effetti per chi, figlio d’arte, ha respirato caffè fin dalla tenera età, giocando in torrefazione con i fermagli dei campioni o con i nastri di carta Telex, è un ritorno alle origini, legato non soltanto ai ricordi d’infanzia in stile proustiano, ma in riferimento soprattutto alla lavorazione artigianale che nell’ultimo periodo della loro precedente esperienza si era forse un po’ persa, a favore di numeri e di acquisizioni di nuove compagini societarie.
Corrado e Fabrizio hanno iniziato questo nuovo percorso nel 2007, per rincorrere il sogno, o forse il ricordo, che li avrebbe riportati indietro nel tempo alla ricerca di un caffè autentico e di qualità.
“Io e Corrado, lavorativamente parlando, ci siamo incontrati nel 1989 proprio in torrefazione, lui lavorando nell’ambito produttivo e io nel commerciale/gestionale dell’azienda da cui provenivamo. Se io sono nato nel caffè crudo, Corrado è nato nel caffè tostato. – racconta Fabrizio Polojaz – Assieme siamo passati attraverso l’acquisizione di una grande azienda, ritrovandoci sempre negli stessi ruoli. Dopo questa esperienza decidemmo che era arrivato il momento di riprenderci il nostro destino”.
L’esperienza di Polojaz è analoga a quella di tanti altri torrefattori cresciuti a pane e caffè, tra studi e vacanze negate, con estati passate a dare una mano in magazzino o trascorse in giro con gli agenti, mentre magari i compagni di scuola erano a Barcola (la spiaggia dei triestini) a fare tuffi dai moli.
“All’epoca non lo facevi con grande entusiasmo, ma solamente dopo ho capito quanto è stata importante questa formazione. – riprende Polojaz – Ho avuto la fortuna di collaborare con persone interne o esterne all’azienda, che lavoravano col caffè crudo, con i materiali promozionali, con i macchinari o col caffè tostato.
Nei miei anni giovanili ho potuto vedere a 360 gradi quanto è variegato il nostro settore”.
Oltre ai due fondatori in azienda lavorano altri sei collaboratori, ma come tante imprese gestite a livello semi-famigliare i ruoli spesso si intercambiano, anche se ognuno ha sempre il suo settore di riferimento.
“Scegliere tra innumerevoli varietà di caffè crudo è bellissimo, anche perché il caffè è incostante e devi capire ogni partita e le singole origini. Riuscire a trarne uno spettro di aromi e di sapori, estremamente più ampio dopo averlo tostato, dipendendo anche dal grado di tostatura e dall’obbiettivo che vuoi raggiungere per portarlo in tazza, è però qualcosa di insuperabile”.
Polojaz e Bassanese sono due persone legate sentimentalmente al caffè, una filosofia ben espressa nel logo che richiama il fumo della tazzina, ma anche la forma di un cuore. Non è casuale che i nomi delle miscele siano Romantica, Serenata, Emozioni e Desiderio. Un fil rouge che può essere dato anche dal contesto della città giuliana, che da sempre ha una relazione particolare con questa bevanda.
“Fondando l’azienda 15 anni fa, c’era la possibilità di realizzarla nella confinante Slovenia. Da un punto di vista fiscale era ed è certamente più interessante e, per noi triestini, non sarebbe stato un problema. Però non possiamo mettere un generico «Made in European Union». Essere in Italia, ma soprattutto a Trieste, città del caffè, è un tassello in più, rispetto ad altre torrefazioni che lavorano in altri paesi”.
Una vicinanza col confine che comunque ha portato molte aziende della città a essere votate prevalentemente all’export. Per Primo Aroma questa voce rappresenta il 75% del fatturato, con Israele capofila. Essenziali in tal senso le certificazioni Kosher e Kosher le Pesach. A seguire Slovacchia, Cipro, Canada, Cile, Corea del Sud, Centro e Nord Europa.
“Un settore comunque non semplice, dove non hai la possibilità di confrontarti con i consumatori finali, ma devi trovare dei distributori che condividano le scelte sulla qualità del prodotto e l’approccio commerciale”.
Un contributo all’espresso italiano e alla sua promozione nel mondo che poteva arrivare con il riconoscimento a patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco. L’iter si è però fermato in Italia, dove si è preferito, almeno per quest’anno, puntare sull’opera lirica. “Noi non coltiviamo caffè, ma l’espresso nasce in Italia e fa parte a pieno titolo dell’Italian Way of life. È con l’espresso che abbiamo raggiunto il Nord America e che abbiamo cambiato le abitudini in Asia. Dobbiamo continuare a lavorare con la consapevolezza di aver offerto al mondo l’abitudine di consumare nel miglior modo possibile il caffè, offrendo un modo diverso di socializzare”.